CHARUN
Charun/Caronte è un demone infero che accompagna i morti nell’aldilà. Le immagini che si hanno di lui lo ritraggono sempre, almeno dove c’è il colore, con carnagione blu-violacea, questo perché rappresentando i morti lo si dipingeva con il colore che la carne assume quando va in putrefazione. Il volto del demone è sempre caratterizzato da un grosso naso adunco, denti inferiori e superiori sporgenti e aguzzi (tipo cinghiale o vampiro), orecchie lunghe e appuntite (alla Spock), occhi gialli con barba e capelli lunghi (vedi fig.1 e 2).
Fig 1 – Particolare di un Cratere con volute, eponimo del pittore di Alcesti, da Vulci 350 a.C. Parigi, Cabinet des Médailles.
Fig 2 – Particolare di un Cratere a calice, Pittore di Turmuca 330-300 a.C. da Vulci. Parigi
Nelle poche iconografie colorate, la tunica, o corsetto, è solitamente di colore rosso con striature o decorazioni bianche. In particolare nella raffigurazione della tomba degli Anina a Tarquinia (fig.3), sembra essere vestito con una tunica identica a quella degli “arbitri” dei giochi gladiatori ma a colori invertiti: i primi infatti sono caratterizzati da una tunica bianca, o comunque chiara, bordata da strisce porpora/rosse (la tunica dei cavalieri insomma); Charun invece ha la tunica rossa a strisce bianche.
È possibile che questo sia dovuto al fatto che anche Caronte giudicava i morti e quindi rappresenti anche lui un giudice, infero però, parallelo ai giudici vivi. (E’ difatti sempre accompagnato da Vanth, demone femminile alato che porta seco una pergamena dove sembra sia scritto quello che il defunto ha fatto in vita, e in base a ciò Caronte punisce!!!).
È altresì vero che parliamo qui di tombe Etrusche, ma d’altro canto è praticamente accertato che i ludes gladiatores furono “inventati” dagli Etruschi e introdotti poi a Roma, come lo furono anche i ludi circenses portati nell’Urbe da Tarquinio Prisco facendo venire dall’Etruria pugili e cavalli (Livio, Ab Urbe Condita, I, 35,9) e poi al momento non conosco descrizioni di Caronti fatte da autori latini durante giochi gladiatori.
Particolarità di Caronte è anche uno strano copricapo a campana (sembra un casco “coloniale”) che vediamo però solamente nella tomba François di Vulci (fig.4), ma che caratterizza inequivocabilmente il demone.
Fig 3 – Tomba degli Anina, Tarquinia III sec. a.C.
Fig 4 – Tomba François di Vulci , seconda metà del IV sec. a.C.
È probabile, anche se parte solo come una mia ipotesi, che invece del Caronte, anche se così è passato alla storia, il personaggio che appariva nei giochi gladiatori come quello che dava il colpo di grazia rituale (o reale) e che portava via il corpo del gladiatore morto, potesse essere quello che gli etruschi chiamavano PHERSU. Vi erano più “Caronti” durante i giochi gladiatori, come ad es. vi erano quelli che con degli uncini prendevano il corpo del morto e lo trascinavano verso la porta libitinaria… ebbene questi figuranti potrebbero essere i “figli lontani” dei Phersu etruschi.
PHERSU
In due punti della tomba degli Auguri (figg. 5 e 6) è raffigurato un uomo barbuto e mascherato, con un corsetto e cappello conico, accanto al quale è posta la scritta Phersu. Per Enrico Montanari, nella parete di dx (fig. 5) questi regola un gioco cruento: è posto alle spalle di un uomo armato di bastone/clava che ha la testa chiusa in un sacco e tenta di difendersi da un mastino che gli addenta la coscia. Nella parete di sx (fig. 6) un altro phersu si allontana a passo di danza, ovvero chiude una scena agonistica tra due pugilatori.
Per Franz Altheim (studioso di storia delle religioni) l’azione del Phersu di fig. 5 rientra nell’ambito dei giochi funebri in onore del defunto. Rappresentata nella tomba , tale azione ha un valore psicagogico: la collocazione alle spalle di un uomo destinato al sacrificio cruento corrisponderebbe a quella del demone infernale Charun nell’affresco della Tomba François di Vulci (fig.7). Phersu sarebbe stata una sorta di “incarnazione, personificazione” di un dio o di un demone infero e solo col tempo sarebbe decaduto a direttore, o ispettore, di giochi funebri.
Fig 5 – Tomba degli Auguri, parete di destra, Tarquinia 530 a.C. circa.
Fig 6 – Tomba degli Auguri, parete di sinistra, Tarquinia 530 a.C. circa.
Fig 7 – Tomba François, Vulci.
Phersu avrebbe improntato il latino persona, formato come diminutivo femminile a partire dal maschile Phersu (come lacu-na da lacus e lanter-na dal greco lamptér), significando così la “maschera impicciolita” e ridotta a oggetto in luogo dell’intera figura della “Maschera” (Phersu) vivente. Phersu anticiperebbe persona come le maschere-ritratto etrusche (i cd. “canòpi”) anticiperebbero l’imago, ossia la maschera in cera dell’antenato a Roma.
Ultimamente però le ipotesi di Altaim sono state in parte scartate per seguire un nuovo orientamento:
1 – Phersu infatti non è necessariamente espressione del mondo infero. Egli non fa le veci di Charun, dal momento che non presiede a sacrifici umani, bansì ad un agone cruento che può concludersi anche con la vittoria del prigioniero in lotta con la belva (e questo può benissimo rientrare nel campo gladiatorio).
È probabile che il gioco non prevedesse come indispensabile la morte dell’uomo ma, piuttosto, lo spargimento di sangue necessario al compimento del rito funebre (difatti l’uomo ha la gola e la testa protetti dall’enorme cappuccio forse anche per evitare che fosse morso in punti vitali). Se così era il Phersu officiava un rito “ordalico” nel quale, in quanto regolatore del gioco, agisce da interprete della volontà divina (ha infatti una corda con cui tiene sia l’uomo che il cane). In questa chiave potrebbero leggersi le somiglianze del suo costume con figure infere, ad esempio la corona di finti capelli con stilizzazione a fiamma che sormonta la maschera avvolgendo il cappello a punta, le orecchie a punta attaccate di lato al cappello e la lunga barba nera. Phersu è un operatore rituale che funge da tramite fra piano divino ed umano.
2 – Phersu non è neppure esclusivamente legato al rito cruento; es. nella fig. 6 è nelle vesti di mimo e danzatore, così come appare anche nella tomba di Pulcinella (fig.8). Nella tomba della Scimmia di Chiusi (480-470 a.C.) invece vi è un personaggio simile al Phersu ma di dimensioni ridotte portato per mano da un Sileno. La stessa coppia nano(Phersu)-Sileno si rinviene anche nell’anfora del “Pittore di Micali” (fig.9) conservata al British Museum.
La raffigurazione della coppia è in entrambi i casi contestualizzata, inserita all’interno di un ciclo “festivo” che comprende giochi e una processione. Se il nano, o bambino, dalla barba posticcia accompagnato dal sileno è un phersu, può ben dirsi che questi rivesta anche una funzione parodistica, da mimo o giocoliere, accanto a quella di officiante del gioco cruento.
In base a tutte queste cose appare che la figura del Phersu fosse collegata, si, ai giochi funebri, ma non fosse estranea ad altri riti spettacolari e cerimoniali. Emerge quindi la polivalenza del Phersu, sia la sua stretta somiglianza con figure di attori “satiristi”. Risalgono all’inizio del V sec. a.C. tre bronzetti etruschi che rappresentano giocolieri e acrobati e il cui costume (barba compresa) è identico a quello del phersu. La somiglianza è tale da indurre Szilàyi (altro studioso della religione antica) a ritenere che questi giocolieri avrebbero “ereditato il costume dei phersu” ma più che eredità si tratta delle funzioni esplicate dalla “Maschera”. Ciò che distingue il phersu è la versatilità d’impiego: se è la maschera a fare la differenza, si può ben comprendere perché questo genere di attore venisse denominato phersu (la “Maschera” per antonomasia).
Fig 8. Tomba di Pulcinella, Tarquinia (510 a.C. circa)
Egli è riconoscibile in almeno tre contesti diversi (officiante nel gioco cruento, danzatore, mimo-giocoliere) ed è disponibile per tutti i momenti essenziali dei riti “festivi” (agonistico, coreutico e parodistico).
In questa veste multifunzionale era riconosciuto dal pubblico etrusco e come tale poteva essere noto anche ai Romani, se si considera che tutto il materiale iconografico proposto da Szilàgyi è racchiuso fra l’ultimo quarto del VI e l’inizio del V sec. a.C. periodo compreso tra l’ultima dominazione etrusca a Roma e la repubblica, quando cioè le influenze culturali etrusche erano ancora considerevoli.
Fig 9. Anfora del Pittore di Micali, 510 a.C., British Museum
Roma avrebbe poi assunto il termine persona (phersu-na) nel senso di “maschera” direttamente dall’etrusco, dal momento che il suffisso di appartenenza –na può venire aggiunto alla parola base assumendone il significato ed, eventualmente, rimpiazzandola: ad esempio crumena dal greco gruméa; lanterna dal greco lampér (non diminutivo come riteneva Altheim); Macstarna dal latino magister, ecc. Nel dettaglio, Phersu-na può essersi formato in etrusco con il significato di “attrezzo del phersu” sostantivizzato in “maschera”.
Ho lasciato questa parte perché mi sembra interessante per chi volesse leggerla (è un lavoro che ho fatto per l’esame di Storia della Religione Romana Arcaica). Quello a cui volevo arrivare, stringendo, è che potrebbe essere possibile che nell’arena ci fossero i phersu romanizzati, di cui si era persa l’origine e che venivano chiamati semplicemente Caronti poiché gli assomigliavano o perchè il termine persona era passato ad assumere il significato che si ha oggi (interessante è notare che in latino si dice PERSONAM HABERE e non PERSONAM ESSE)!
Nella tomba detta (a torto) dei Caronti a Tarquinia infatti vi sono vari demoni con vari armi come asce, spade, e uno con il martello che è il vero Caronte. Lo stesso c’era probabilmente nell’arena visto che i giochi gladiatori sono il passo successivo ai giochi funebri etruschi.
Bibliografia:
Enrico Montanari, Categorie e Forme nella storia delle Religioni, Jaca Book Milano, 2001, pp.155-174
Altaim, Persona in “Arch. F. Religions.”, 27 (1929) p.48; Terra Mater, Giessen 1931, p.51
Pallottino, Origini e storia primitiva di Roma Milano 1993, pp. 304ss.
a cura di Riccardo Rudilosso